Fiche du document numéro 30744

Num
30744
Date
Mercredi 12 marzo 2008
Amj
Taille
27433
Titre
Fu genocidio, ergastolo a padre Seromba
Sous titre
Condannato alla massima pena il sacerdote cattolico ruandese accusato del massacro in chiesa di 1.500 tutsi.
Nom cité
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Lieu cité
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Type
Article de journal
Langue
IT
Citation
Athanase Seromba, un prete cattolico ruandese, è stato condannato all’ergastolo per aver commesso atti di genocidio e sterminio durante la mattanza che sconvolse il piccolo Paese africano nel 1994. La sentenza della Corte d’appello del tribunale internazionale per il Ruanda (che ha sede ad Arusha, in Tanzania) è durissima e ribalta quella, mite, di primo grado con la quale i giudici avevano condannato Seromba a 15 anni di carcere. La condanna di allora parlava di aiuto e sostegno agli assassini. Quella di oggi aver commesso egli stesso i massacri.

«Nessun pentimento»



«Seromba – ha spiegato Silvana Arbia, l’italiana capo dei procuratori della corte, voluta dall’Onu all’indomani del genocidio durante il quale furono trucidati in cento giorni un milioni di tutsi e hutu moderati – non ha mostrato alcun segno di pentimento e non ha riconosciuto le sue responsabilità, evidenziate, invece, dai testimoni che hanno partecipato al processo». Un altro imputato, l’italo-belga George Ruggiu, speaker della Radio Television Libre des Mille Collines (RTLM) che aveva incitato gli hutu a massacrare i tutsi, si era dichiarato colpevole e dimostrato pentito. Aveva ottenuto le attenuanti e il 1° giugno 2000 era stato condannato a una pena tutto sommato mite, 12 anni di carcere. Dal 28 febbraio scorso Ruggiu sta scontando la pena in Italia. Questi i fatti accertati dalla corte, dopo aver sentito numerosi testimoni.

Massacro in chiesa



Durante la caccia all’uomo del 1994, Padre Seromba aveva attirato all’interno della sua parrochia a Nyange, nella prefettura di Kibuye, almeno 1500 tutsi. Aveva assicurato a tutti che lì, al cospetto di Gesù e della Madonna, protettrice del Ruanda, sarebbero stati in salvo. Le bande armate hutu non avrebbero osato entrare nella cattedrale. Invece mentre i rifugiati pregavano, ha chiuso a chiave le porte della chiesa, e ha ordinato all’autista di un bulldozer di abbattere l’edificio mentre gli assassini sparavano e lanciavano granate dalle finestre. Fu un massacro soprattutto di donne, vecchi e bambini. «La corte – spiega la dottoressa Arbia – ha constatato che senza la sua autorità morale quel massacro non sarebbe stato commesso. I capi degli assassini e le autorità civili premevano per ammazzare i rifugiati in chiesa, ma nessuno osava muoversi. Anche l’uomo che operava sul bulldozer se era rifiutato di obbedire agli ordini e si è mosso solo dopo che ha avuto l’ok dal sacerdote».

Le responsabilità'



Una sentenza giusta vista la gravità dei fatti e il prestigio dell’imputato, massima autorità morale in quel contesto. Nessuno avrebbe abbattuto una chiesa senza il consenso e l’approvazione dell’autorità religiosa che la governa. E’ stato accertato che Seromba, addirittura, ha indicato all’autista del mezzo meccanico il lato più debole dell’edificio in modo tale che la demolizione fosse più efficace. Il comportamento del sacerdote, insomma conferma la volontà di portare a termine il massacro.

La fuga in Italia



Seromba – che si è sempre dichiarato innocente - era poi scappato e con la copertura di amici preti e delle gerarchie vaticane si era rifugiato a Prato, aveva cambiato nome, padre Anastasio Sumbabura) e continuava a officiare messa come se nulla fosse accaduto. Era stato riconosciuto e denunciato, ma l’allora procuratrice del Tribunale dell’Onu, Carla del Ponte, aveva avuto difficoltà a ottenere l’estradizione. Aveva accusato il Vaticano di esercitare pressioni sul governo italiano per evitare che prendesse una decisione in proposito. Infatti il sacerdote non è mai stato estradato: si è costituito.

«Ma lui è' innocente»



L’avvocato di Seromba, il beninese, Alfred Pognon, uno dei fondatori di Avvocati Senza Frontiere, durante un’intervista al Corriere nel settembre del 2004 ad Arusha, mentre si stava celebrando il processo era tranquillo. «Il mio cliente è una vittima – aveva sostenuto sicuro – e il tribunale dell’Onu è politicizzato. Quei giudici vogliono condannare gli accusati per giustificare la loro esistenza e la loro burocrazia che costa milioni di dollari. Attraverso Seromba intendono colpire la Chiesa e noi dobbiamo impedirlo. Dimostrerò la sua innocenza». Ma le prove e le testimonianze sono state schiaccianti e lui non è riuscito a farlo dichiarare innocente nonostante - sostengono sottovoce alla procura del tribunale - le pesanti pressioni del Vaticano per assolverlo.

Massimo A. Alberizzi

(malberizzi@corriere.it)

12 marzo 2008

(ultima modifica: 18 dicembre 2008)

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