Fiche du document numéro 27233

Num
27233
Date
Mardi 7 aprile 2015
Amj
Auteur
Fichier
Taille
102968
Pages
14
Titre
La Chiesa Cattolica, la Francia, le Nazioni Unite nel genocidio dei Tutsi
Nom cité
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Résumé
The Catholic Church, wanting to keep its grip on Rwanda, spread racial hatred and, when it turned into massacres, it did nothing to stop them and defended its perpetrators. France has used this anti-Tutsi racism to extend its domination over Rwanda. To stay there, she supported the killers until the end, knowing as early as 1990 that their goal was to eliminate the Tutsi. She used her seat on the Security Council to enable the completion of this genocide. It turned the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide into a scrap of paper. But the presence of a genocidal government at the Security Council table also sets a scandalous precedent for the United Nations. François Mitterrand, claiming on June 22, 1994 in front of his ministers, including a survivor of Auschwitz, that "if this country were to come under Tutsi domination [...] it is certain that the democratization process would be interrupted", reached there the height of perversion. He, who consulted no one other than his military to engage us in this racial war, wanted to believe that the defense of democracy in another country required support for the perpetrators of genocide. His Machiavellianism has claimed more than a million lives.
Type
Note
Langue
IT
Citation
Il genocidio dei Tutsi del 1994, in Ruanda, è stato spesso descritto come una
lotta interetnica secolare. La Commissione informativa parlamentare francese,
che ha esaminato il ruolo del nostro paese [la Francia, ndT] all’interno del
genocidio, ha escluso la responsabilità delle potenze straniere, sentenziando
che «il Ruanda è autore della propria storia». Come ha potuto il Ruanda
scrivere la propria storia, dal momento che è stato evangelizzato, colonizzato e
conteso tra le potenze europee?
Se il genocidio dei Tutsi è scoppiato la sera del 6 aprile 1994, la sua
pianificazione e la maturazione negli animi di chi l’ha perpetrato risale a molto
tempo prima.
Nelle pagine seguenti, indagherò il ruolo della Chiesa cattolica e della Francia e
discuterò della paralisi delle Nazioni Unite.
1. Il ruolo della Chiesa cattolica nel genocidio dei Tutsi.
L’insegnamento del mito di Cam da parte dei missionari.
L’ideologia degli autori del genocidio trova la propria origine nel mito di Cam,
inventato dagli Europei alla fine del XIX secolo. I primi esploratori hanno visto
nei Tutsi, e nella loro alta statura, i Camiti, i neri “bianchi”, venuti dall’Abissinia
e che dominavano gli altri popoli. Fu il francese de Gobineau ad inventare i
Camiti, discendenti di Cam, che sarebbero stati salvati dalla bestialità neri
grazie ad una goccia di sangue bianco.
I missionari cattolici che inventarono la scrittura della lingua ruandese inclusero
questo mito nella storia del Paese, rendendolo una verità storica a tutti gli
effetti. Il mito è stato insegnato nelle scuole, di cui i religiosi avevano il
monopolio. L’opposizione Camiti- Bantu ha la stessa origine di quella armenosemita.
L’obiettivo fissato da Monsignor Lavigerie, il fondatore dei Missionari d’Africa,
era quello di convertire per prime le classi dirigenti del Paese. In Ruanda, il
cuore della monarchia era Tutsi. Negli anni ’30 del Novecento, il vescovo del
Ruanda, Monsignor Classe, dichiarò che i Tutsi erano una razza superiore. Una
razza per nulla inferiore ai Bianchi, dal momento che aveva fatto abdicare il re,
il Mwami, in favore del figlio, più docile. Convinti dal vescovo, i Belgi
riservarono i posti di potere ai soli Tutsi. Sulle carte d’identità, i Ruandesi
venivano classificati in tre razze: tutsi, hutu e twa. Così, quelle che una volta
erano categorie sociali come tante, come il clan, con la stessa lingua, la stessa
religione e le stesse abitudini, diventarono razze diverse e antagoniste. Il
concetto di razza così inteso non esisteva, prima dell’arrivo degli Europei.
Una rivoluzione sanguinosa, sostenuta dall’arcivescovo.
Negli anni Cinquanta, l’élite tutsi cercò di emanciparsi dalla protezione dei Belgi
e di affrancarsi da monopolio ecclesiastico sull’insegnamento. Monsignor
Perraudin, il nuovo arcivescovo, di origine svizzera, era ossessionato dalla
«questione Hutu-Tutsi». Inoltre, temeva il diffondersi del comunismo. Sostenne,
a nome della giustizia sociale, le rivendicazioni degli Hutu che videro rifiutarsi
l’accesso all’insegnamento e alle funzioni dirigenziali da parte del
colonizzatore. Nella lettera quaresimale del 1959, l’arcivescovo dichiarava:
«Nel nostro Ruanda, le differenze e le ineguaglianze sociali sono, per la
maggior parte, legate alle differenze razziali, nel senso che le ricchezze da una
parte e il potere politico e giudiziario dall’altro sono in realtà, in considerevole
proporzione, nelle mani di persone di una stessa razza».
Grégoire Kayibanda, discepolo di Monsignor Perraudin, creò un partito politico
hutu, su base razziale. Fece comprendere che in Ruanda «il colonialismo è
organizzato su due livelli: gli Hutu devono supportare i Camiti e la loro
dominazione, ma anche gli Europei e le loro leggi, che passano
sistematicamente attraverso i Tutsi.».
Altrimenti detto, il colonizzatore che opprime gli Hutu non sono i Belgi, ma i
Tutsi-Camiti. Si spiega, per tanto, il motivo per cui la rivolta degli Hutu del
1959, che portò all’instaurazione della Repubblica nel 1962, fu orchestrata
dalla Chiesa e dai Belgi.
Finché, nel 1963, l’emigrazione di massa dei Tutsi in Burundi venne presto
frenata e diede il pretesto al regime di Kayibanda per massacrare i Tutsi rimasti
nel paese. Nella regione di Giongoro, i Tutsi vennero sterminati
sistematicamente da bande di assassini. «Donne e bambini venivano
sterminati a colpi di machete o trafitti dalle lance. Le vittime venivano spogliate
e poi gettate nei fiumi.» Monsignor Perraudin protestò contro Radio Vaticana,
che definì il massacro come «il più terribile genocidio sistematico dopo il
genocidio degli Ebrei».
I vescovi sostengono il governo del genocidio
Quattro giorni dopo l’assassinio del presidente Habryarama, il 6 aprile 1994, i
vescovi del Ruanda chiesero immediatamente alle autorità «di neutralizzare
tutti coloro che turbavano la pace». Che cosa intendevano dire con
“neutralizzare”? Nel momento in cui le forze speciali dell’esercito ruandese
diedero inizio al genocidio, la sera del 6 aprile, i vescovi «rendevano omaggio
alle Forze armate del Ruanda (FAR) che prendevano così a cuore il problema
della sicurezza». Infine, dopo l’uccisione dei dirigenti politici favorevoli alla
firma della pace, tra cui il Primo Ministro, i vescovi «si felicitavano
dell’instaurazione di un nuovo governo, al quale promettevano il loro
sostegno».
Monsieur Perraudin «capisce» gli assassini
Il 18 aprile 1994, Monsignor Perraudin, ritiratosi in Svizzera, condannò il
massacro, ma «cercava di capire»: «agiscono per collera e per paura» disse.
Per collera, per l’omicidio del loro presidente e per paura di ricadere nella
schiavitù. Giustifica il massacro perpetrato con la rivoluzione degli Hutu del
1959: «era necessario restituire alle masse popolari la loro dignità».
La propaganda estremista che ha portato al genocidio dei Tutsi ha le proprie
radici nell’insegnamento dei missionari cattolici, che hanno sostenuto
l’esistenza delle razze e hanno giocato sulle divisioni razziali, esaltandone una
e condannandola allo stesso tempo, sostenendo l’altra nella sua deriva
criminale.
2. Il ruolo della Francia nel genocidio dei Tutsi.
Quale scopo perseguivano i dirigenti francesi, in Ruanda? Il loro scopo era
quello di assumere il controllo delle antiche colonie belghe e, essenzialmente,
del ricco Congo, all’epoca Zaire. Il mezzo da loro privilegiato era quello di
instaurare una cooperazione militare e poi di utilizzare i conflitti etnici per
imporsi al posto dei Belgi. Come in Burundi, nel 1972, la Francia approfittò del
massacro per sbarazzarsi dei Belgi. Il comportamento francese è improntato al
puro cinismo. Così diceva François Mitterand, a suo figlio Jean-Christophe:
«Nella regione dei Grandi Laghi, i massacri sono diventati la norma. In questo
tipo di conflitti, non cercare i buoni e i cattivi, non esistono che potenziali
assassini».
I Tutsi, nemici della Francia.
Per i dirigenti francesi, in Africa, la questione etnica – per non dire “razziale” – è
predominante. Secondo loro, l’appartenenza etnica determinava la scelta
politica. La presenza di una magioranza Hutu crea, per tanto, un’esigenza
democratica. Dunque, François Mitterand ricorda che «il Ruanda, come il
Burundi, è essenzialmente popolato dagli Hutu. La maggioranza degli abitanti
ha, ovviamente, sostenuto il governo del presidente Habyarimana».
L’attacco del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), nell’ottobre del 1990, è una
conseguenza del genocidio cominciato nel 1959. La Francia intervenne il 4
ottobre 1990, su richiesta del presidente ruandese, inviando delle truppe con il
pretesto che tale attacco «poteva mettere in pericolo la vita dei cittadini
stranieri residenti in Ruanda, in particolare dei cittadini francesi».
Da allora, i nemici della Francia in Ruanda sono i Tutsi, come mostrano le
annotazioni dell’ammiraglio Lanxade, capo di stato maggiore del Presidente
della Repubblica, che parlavano di «forze tutsi», di nuove «offensive ugandotutsi
», invece di parlare di FPR o di ribelli. Che fossero armati o no, che fossero
fuori o dentro il paese, i Tutsi erano nemici, o per lo meno, sospettati di esserlo.
Il colonnello Galinié, addetto militare, scriveva che quelli «invasori tutsi,
ignorando la realtà ruandese, ristabiliranno probabilmente il regime
vergognoso che aveva caratterizzato il loro primo regno». Non lascia alcun
dubbio sull’adesione delle autorità francesi all’ideologia degli autori del
genocidio.
Grazie ai massacri, la Francia soppianta il Belgio.
Davanti al massacro dei Tutsi dell’interno del Paese, organizzato in rappresaglie
dal regime di Habyariumana, con la retata di 10.000 Tutsi, i Belgi protestarono
e ritirarono i soldati che avevano inviato. La Francia giudicò più opportuno
fingere di non vedere. Dunque, grazie a questo massacro, il Belgio se ne andò e
la Francia poté soppiantare l’antica potenza coloniale.
La Francia è testimone dei massacri e della preparazione del
genocidio.
Al riparo della garanzia militare e morale francese, il regime ruandese rinnova,
con la guerra razziale, le pratiche genocidarie degli anni Sessanta.
I colonnelli Serubuga e Rwagafilita non nascondono ai Francesi la loro
intenzione di approfittare di questo attacco del FPR per eliminare tutti i Tutsi.
Non presero in considerazione la possibilità di ritirare le menzioni razziali sulle
carte d’identità in cambio del loro sostegno militare. Assistettero, senza
opporsi, al massacro dei Tutsi, al massacro di Bagogwe nel 1991, al massacro
di Bugesera e di Kibuye nel 1992, che rappresentarono una ripetizione generale
del genocidio.
«Una guerra totale, molto crudele»
I Francesi ammisero che il trattamento riservato ai nemici fosse la morte. In
effetti, le Forze Armate Ruandesi non facevano prigionieri. «Che io sappia»,
scriveva il generale Tauzin «non è mai stato fatto un solo prigioniero, in questa
guerra, né da una parte né dall’altra». Si trattava di una «guerra totale, molto
crudele», disse il generale Quesnot. Per tanto, la Francia prese parte ad una
guerra totale, contro un nemico definito etnicamente o razzialmente. Si chiama
“genocidio”.
Senza il sostegno militare francese, non ci sarebbe stato un genocidio.
L’esercito francese salvò, per tre volte, nel 1990, 1992 e 1993, il regime
razzista di Habyarimana, il cui esercito veniva sbaragliato dalle offensive del
FPR. Quando la sconfitta del FAR sembrava ormai inevitabile, nel 1993, il
generale Quesnot consigliò a François Mitterand d’intervenire per salvarli,
altrimenti, scrive «dopo l’evacuazione dei nostri cittadini e la ritirata delle
mostre truppe, il presidente Habyarimana non dovrebbe poter rimanere a capo
dello Stato». Inviate d’urgenza in Ruanda, le forze speciali dl colonnello Tauzin
presero le redini del FAR e riuscirono a fermare il FPR. Se, quindi, la Francia
avesse ritirato le sue truppe, l’esercito del FPR sarebbe arrivato a Kigali, e
avrebbe rovesciato il regime di Habyarimana. Non ci sarebbe stato il genocidio.
È incontestabile: è stato l’esercito francese che ha impedito ai Ruandesi del
FPR di neutralizzare gli assassini.
Dunque, nel 1993, non era il Ruanda a scrivere la propria storia: è la Francia
l’autore della storia che porta al genocidio.
Milizie e autodifesa popolare.
I militari francesi incoraggiarono l’organizzazione dell’ «autodifesa popolare» e
la formazione di milizie; nell’ottobre del 1990, il colonnello Galinié descrisse il
massacro dei Tutsi: «gli abitanti hutu, organizzati dal Movimento Nazionale per
lo Sviluppo», scrive, «hanno intensificato le ricerche di Tutsi sulle colline;
vengono segnalati massacri nella regione di Kibilira, a 20 km a nord est di
Gitarama». Continua: «restano solo le forze governative, che soffrono per il
numero ridotto e per la mancanza di mezzi […] e non possono più sfruttare a
fondo la fedeltà degli abitanti che partecipano sempre di più all’azione militare
attraverso dei gruppi [sic] di autodifesa armata d’archi e di machete. Nemmeno
questi gruppi potranno ribaltare definitivamente la situazione in loro favore se
non con un aiuto che viene da fuori. Di qui, l’appello agli amici, in particolare
alla Francia». Galinié vide questi gruppi di autodifesa come una sorta di forza
dissuasiva per i machete, un ultima spiaggia in caso di sconfitta militare.
La Francia incita la creazione di Hutu Power, l’alleanza anti Tutsi.
Dopo l’arresto dell’offensiva del FPR, nel febbraio 1993, attraverso il suo
ministro della Cooperazione, la Francia incitò gli Hutu a formare un «fronte
comune» contro i Tutsi. Questo fronte, a carattere razziale, divenne l’Hutu
Power che riuniva i partigiani di Habyarimana e i loro oppositori, i nostalgici del
suo predecessore Kayibanda.
La Francia e il sabotaggio degli accordi di Arusha.
Dopo aver salvato in extremis l’esercito ruandese, la Francia richiese
l’intervento delle Nazioni Unite per mantenere la pace (Missione di assistenza
delle Nazioni Unite per il Ruanda), che venne organizzata dopo la firma degli
accordi di Arusha, nell’agosto del 1993. Ma il FPR si oppose alla partecipazione
dei soldati francesi. Fu il Belgio a fornire i caschi blu. I militari francesi vennero
obbligati a partire, e tornarono i Belgi.
Tale partenza risultò insopportabile ai militari francesi, che si videro sottrarre il
Ruanda, nello stesso modo in cui avevano perduto l’Indocina e l’Algeria. Degli
ufficiali testimoniarono la loro ostilità agli accordi di Arusha, che permettevano
al nemico, il FPR, di ottenere cinque portafogli ministeriali e una larga fetta del
nuovo esercito. «Se l’idea generale degli accordi di Arusha era buona»,
scriveva il generale Quesnot, «la fase Arusha III ha dato dei vantaggi
esorbitanti al FPR, in particolare in ambito militare. Questi vantaggi erano e
sono tuttora inacettabili, ingiuste per la maggioranza degli Hutu».
Alla fine del 1993, la politica francese in Ruanda si conclude con una triplice
sconfitta:
- Sconfitta militare del FAR ad opera del FPR.
- Sconfitta diplomatica, con gli accordi di Arusha, che sono un successo
per il FPR.
- Sconfitta nel ricorrere alle Nazioni Unite, poiché il tentativo di
trasformare i militari francesi in caschi blu non va a buon fine.
Segretamente, qualcuno, a Parigi, avrebbe potuto decidere di attivare il piano
dei militari estremisti Hutu che consisteva nel:
1. Iniziare l’applicazione degli accordi di Arusha, eliminando il presidente
Habyarumana.
2. Fare iniziare la UNAMIR.
3. Riprendere la guerra contro i Tutsi invasori.
4. All’inizio della guerra, far eliminare i Tutsi dalle milizie e dai gruppi di
autodifesa.
Più precisamente, si trattava di utilizzare i massacri di civili tutsi come mezzo di
dissuasione, per impedire al FPR di continuare la sua offensiva. Il diplomatico
francese Paul Dijoud aveva già minacciato Paul Kagame, nel gennaio 1992,
dicendogli «Se non fermate la guerra, se non abbandonate il paese, non
ritroverete i vostri fratelli e le vostre famiglie, perché saranno tutti massacrati»
La Francia è coinvolta nell’attentato contro Kabyarimana
Nel 1994, la Francia abbandonò Habyarimana. L’ambasciatore Martres l’aveva
annunciato. Nel marzo 1993, lo riteneva «finito» e credeva che «avesse
rovinato tutto, alla fine». Poco dopo, Pierre Joxe, ministro della Difesa, lo
vedeva «largamente responsabile del fallimento attuale» e Marcel Debarge
riteneva che fosse «ad un passo dalla caduta».
Il 6 aprile 1994, a Dar es-Saalam, Habyarimana accettò di fondare le istituzioni
previste dagli accordi di pace, senza che il partito estremista CDR ottenesse la
sede che reclamava. Habyarimana si prese cura di avvisare Parigi della sua
decisione, prima di prendere l’aereo.
Al suo ritorno a Kigali, il suo aereo, offerto dalla Francia e pilotato da tre
Francesi, fu abbattuto. Avvertito la sera stessa, il colonnello Tauzin mise in stato
di allerta il suo reggimento di forze speciali a Bayonne, per un lancio su Kigali e
per prendere il comando dell’esercito ruandese il giorno dopo, il 7 aprile, dal
momento che il FPR non si era mosso.
Jean Burara traccia il profilo degli autori del colpo di Stato. Sono ufficiali messi
a riposo da Habyarimana. La colpa dell’attentato a dei militari ruandesi,
confermata dagli esperti del giudice Trévidic, che mostrarono che i missili
furono tirati dal campo militare di Kanombe, viene riportata immediatamente
alla Francia, dal momento che l’esercito ruandese era di fatto comandato da
dei consiglieri militari francesi e nessun militare ruandese era stato istruito a
lanciare tali missili.
Nel quarto d’ora che seguì l’esplosione dell’aereo i militari francesi si
precipitarono sul luogo dello schianto. Prelevarono la scatola nera dell’aereo e i
resti dei missili, di cui non si ebbe mai alcuna notizia. Nella notte, le forze
speciali dell’esercito ruandese cominciarono il massacro dei Tutsi, assistiti dai
consiglieri francesi: la guardia presidenziale, il battaglione dei para-commando,
il battaglione di ricognizione.
L’8 aprile, la Francia partecipa all’insediamento del governo che
organizzò il genocidio.
L’attentato non fu che la prima fase di colpo di stato, nel quale la Francia giocò
una parte attiva. L’ambasciatore Marlaud non protesse il Primo Ministro, Agathe
Uwilingiyimana, che fu assassinata a meno di 300 metri dalla sua ambasciata.
L’incontro con il colonnello Bagosora fu il 7 aprile, nel pomeriggio. Gli fece
abbandonare il progetto di un governo militare. Si trovarono probabilmente
d’accordo sulla formazione di un governo civile, formato dai membri del
Movimento Ruandese Nazionale per lo Sviluppo e dell’Hutu Power.
Il governo ad interim ruandese (GIR) fu formato in tempo record, l’8 aprile.
Almeno una riunione pre-insediamento si tenne all’ambasciata di Francia. La
sua formazione è una palese violazione degli accordi di Arusha, poiché il FPR
non fu coinvolto. Ma l’ambasciatore Marlaud fece credere che questo nuovo
governo fosse conforme agli accordi: «Per quanto riguarda la sostituzione del
presidente Habyarimana, il nuovo capo di stato ad interim era il vecchio
presidente dell’assemblea nazionale, che corrisponde alle disposizioni della
Costituzione ruandese e agli accordi di Arusha stessi, mentre la divisione di
ministeri e portafogli ministeriali rimane identica a quella prevista dal quadro
delle suddivisioni del potere incluso negli accordi di Arusha».
Il ruolo dell’ambasciatore Marlaud è stato cruciale per mettere d’accordo tra di
loro i politici estremisti ruandesi e camuffare il colpo di Stato. Era coautore, con
il colonnello Bagosora, del governo che organizzò il genocidio. Di nuovo, il
Ruanda non fu autore della sua storia. Fu la Francia a scrivere la storia del
genocidio.
Che genocidio sia
L’8 aprile, lo stato maggiore di Parigi redasse l’ordine dell’operazione Amaryllis,
che riconosceva che la guardia presidenziale si era lanciata a Kigali per
«arrestare» ed «eliminare degli oppositori Tutsi». Che cosa significa “eliminare i
Tutsi”, se non commettere un genocidio? I dirigenti francesi sapevano che il
genocidio era cominciato.
I militari francesi sbarcarono il 9 aprile e non fecero nulla per fermare il
massacro dei Tutsi. Dopo aver evacuato gli Europei e gli estremisti ruandesi,
l’ambasciata chiuse il 12 aprile e i militari francesi vennero imbarcati il 13
aprile. Quel giorno, François Mitterand chiedeva all’ammiraglio Lanxade, capo
di stato maggiore dell’esercito se «il massacro si estenderà»; gli fu risposto: «è
già considerevole. Ma, adesso, sono i Tutsi che massacreranno gli Hutu a
Kigali». Durante tutto il genocidio, i massacri vennero attribuiti al FPR.
Sostenere i nostri alleati
Il ministro degli affari esteri del governo ad interim ruandese e il principale
ideologo del partito estremista CDR vennero ricevuti a Parigi, all’Eliseo e a
Matignon, il 27 aprile. Due colonnelli arrivarono poco dopo, per organizzare
l’approvvigionamento di armi e munizioni, così come delle operazioni di
soccorso in favore dell’esercito ruandese. Il 6 maggio, il generale Quesnot
scrisse al presidente Mitterand: «Sul campo, il FPR rifiuta qualsiasi cessate il
fuoco e finché non avrà raggiunto gli obiettivi della guerra […]. In mancanza di
una strategia diretta all’interno della regione, che possa apparire politicamente
difficile da mettere in opera, noi disponiamo di mezzi e di cambi di strategia
indiretta che potrebbero ristabilire un certo equilibrio».
Segretamente, Parigi inviò delle armi, anche dopo l’embargo del 17 maggio
1994. I consiglieri militari e i mercenari vennero inoltre inviati in Ruanda.
Al sicuro dagli assassini
Il 22 maggio, dopo la caduta del campo militare di Kanombe e dell’aeroporto di
Kigali, il presidente del governo ad interim Sindikubwabo, che scatenò il
massacro nella regione di Butare, ringraziò François Mitterand dell’aiuto
ricevuto fino a quel momento e chiese nuovamente il suo sostegno. Il 15
giugno, dopo quasi tre mesi dai massacri, François Mitterand e Alain Juppé
sentirono improvvisamente il bisogno di un intervento militare. Si trattava di
fatto di rispondere alle richieste di aiuto dei loro alleati, che il FPR stava
sconfiggendo.
Il 23 giugno, la Francia lanciò l’operazione Turquoise, una forza militare di 2500
uomini pesantemente armati, minuti di mandato delle Nazioni Unite. Il progetto
iniziale era quello di impedire la presa di Kigali da parte del Fpr. Ma la Francia
dovette rinunciarvi. L’obiettivo divenne allora quello di conservare alcuni
avamposti hutu e di costringere il FPR al tavolo del negoziato.
Decisi a fermare l’offensiva del FPR, i Francesi incoraggiarono la lotta contro gli
infiltrati. Per quattro giorni, assistettero all’eliminazione degli ultimi superstiti
tutsi di Bisesero, che descrissero alla stampa come dei combattenti del FPR,
che terrorizzavano la popolazione. Non si decisero a soccorrerli che il 30
giugno.
In seguito alla presa di Kigali e di Butare, probabilmente anche a causa delle
condizioni imposte per la liberazione di militari francesi fatti prigionieri dal FPR,
la Francia fu costretta a limitare la zona in suo controllo a Sud-Ovest. Questa
zona permette alle truppe francesi di proteggere la ritirata delle forze genocida
rie e del governo ad interim.
Il 4 luglio, i Francesi dell’operazione Turquoise presero la difesa degli assassini,
facendo sbarramento al FPR a Gikongoro. Ostentarono il loro cinismo
istallandosi nella scuola di Murmbi, a fianco delle fosse comuni, da cui
trasudava il sangue dei Tutsi, vittime del massacro del 21 aprile. I Francesi
chiedevano agli organizzatori del genocidio di cercare gli infiltrati del FPR.
Ossia, i Tutsi.
Con la liberazione del campo di sterminio di Aushwitz, nel 1944, l’Armata rossa
non si era alleata con le SS, contro gli Anglo-Americani. Ma a Gikongoro, nel
1994, la Francia si alleò con gli assassini, per proteggere quelli del PR che
metteranno fine al genocidio.
3. La Francia e la strumentalizzazione delle Nazioni Unite.
Trasformare i soldati francesi in caschi blu.
Nel febbraio 19933, di fronte alla sconfitta militare dell’esercito ruandese,
François Mitterand propose di inviare una forza ONU per fare «interposizione»
tra il FPR e il FAR. «i nostri soldati possono trasformarsi in soldati delle Nazioni
Unite», disse nel marzo 1993. Ma il FPR si oppose alla partecipazione dei
soldati francesi. La Francia, allora, ostacolò l’UNIMAR, fornendo le armi ai FAR,
come i mortai a granate del 18 gennaio 1994, consigliando loro di dissimulare
l’uso di armi pesanti.
Il peso della Francia alle Nazioni Unite
La Francia è membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
e mantiene il controllo delle sue antiche colonie. Più di venti Stati votano come
lei, all’ONU.
Il segretario generale Boutros Boutros-Gali, deve il suo posto a François
Mitterand, che ha sostenuto la sua candidatura contro gli Stati Uniti. Scelse
come rappresentante speciale in Ruanda, Jacques Roger Booh-Booh, un
complice della Franciafrica.
Nel gennaio 1994, il Ruanda divenne membro del Consiglio di sicurezza. Il fatto
esula dalla norma, poiché questo paese fu oggetto di un’operazione di pace
delle Nazioni Unite. Questa presenza spiegherà la paralisi delle Nazioni Unite.
La Francia sostiene gli estremisti del CDR nel consiglio di sicurezza.
Il 5 aprile 1994, alla vigilia dell’attentato contro l’aereo del presidente, il
rappresentante francese al Consiglio di sicurezza, Jean-Bernard Mérimée,
sostenne la partecipazione del partito estremista CDR all’Assemblea nazionale
transitoria, dal momento che il partito si opponeva agli accordi di Pace di
Arusha.
Le Nazioni Unite non vennero informate dell’intervento francese
Il 7 aprile, a Parigi, una riunione interministeriale decise di non mettersi in
prima linea e di limitarsi a chiedere che l’UNIMAR compiesse la sua missione di
sicurezza. Dunque, Tauzin non venne mandato a Kigali. Quel giorno, i consiglieri
militari francesi non impedirono ai militari ruandesi di sparare sui Caschi blu,
con delle auto mitragliatrici fornite dalla Francia. Dieci Caschi blu belgi vennero
linciati a morte nel campo di Kigali, dove si trovavano anche dei Francesi.
L’8 aprile, la Francia decise di inviare delle truppe a Kigali. Il generale Quesnot
precisa: Il signor Boutros Ghali sarà in un primo tempo sensibilizzato sulla
situazione locale, ma non sarà informato sull’operazione che al momento
dell’esecuzione per non comprometterne la sicurezza-. Lo stesso metodo verrà
applicato a tutti gli altri membri del Consiglio di Sicurezza.
Ridurre l’UNIMAR
La posizione della Francia in favore della riduzione degli effettivi dell’UNIMAR si
ferma al Consiglio ristretto del 13 aprile. Alain Juppé, ministro degli affari esteri,
dichiara: «alle Nazioni Unite, il Segretario generale deve rendere rapporto
domani. Si possono considerare tre soluzioni: mantenere l’UNIMAR,
sospenderlo, mantenendo un eventuale contingente simbolico o ritirarlo
completamente. I Belgi sono favorevoli alla sospensione, e io mi trovo
d’accordo.» Il residente Mitterand rispose: «Sono d’accordo».
Il 21 aprile, giorno dei grandi massacri, Hervé Ladsous, rappresentante
francese, votò con l’unanimità dei membri del Consiglio di sicurezza per la di
munizione degli effettivi dei Caschi blu dell’UNIMAR a 270, di modo che i
massacri potessero svolgersi senza testimoni. In Ruanda, i Tutsi dovettero
allora abbandonare tutte le speranze. In contropartita, tutte le speranze di
Ladsous verranno esaudite. Dal 2011, è Segretario generale aggiunto delle
Nazioni Unite, responsabile delle operazioni di pace.
Impedire che il massacro venga chiamato “genocidio”.
Il governo francese ha fatto tutto per impedire il riconoscimento del genocidio
dei Tutsi. Ne era stato informato l’8 aprile. Il 30 aprile 1994, la definizione di
“genocidi” attribuita ai massacri, da parte del presidente del Consiglio di
sicurezza viene ritirata. Il generale Quesnot fa rapporto a François Mitterand,
dicendo che: «alle Nazioni Unite, la Francia si è dovuta opporre alla condanna
partigiana delle atrocità commesse dalle forze governa mentali».
I rapporti falsificati di Boutros Boutros-Ghali
I rapporti del Segretario generale Boutros-Ghali nascondo il colpo di stato e il
genocidio Fecero credere che il caos si era impadronito del Ruanda a seguito
della ripresa dei combattimenti ad opera dl FPR. L’unica soluzione proposta fu
quella di ottenere un cessate il fuoco tra le parti coinvolte nel conflitto.
«I nostri soldati non possono fungere da arbitri internazionali delle
sofferenze»
Il 10 maggio, in un’intervista televisiva, il presidente Mitterand espose le
proprie ragioni per non intervenire in Ruanda. «Non siamo tenuti a fare la
guerra ovunque, specialmente dove l’orrore salta subito all’occhio. Non
abbiamo i mezzi per farlo e i nostri soldati non possono fungere da arbitri
internazionali delle sofferenze che oggi ribaltano e straziano tanti, tanti paesi.
Dunque, rimaniamo a disposizione delle Nazioni Unite.»
Che lui accusa per mascherare le proprie responsabilità: «Le Nazioni Unite che
avevano detto di occuparsi del problema, davanti alla violenza dei
combattimenti, all’assassinio di due presidenti del Ruanda e del Burundi e di
fronte all’avanzare dei movimenti dell’opposizione, appoggiati da un paese
vicino, l’Uganda, tutto questo a causa di affinità etniche, le Nazioni Unite si
sono ritirate. Eh, beh, non possiamo sostituirci all’ONU, non è il nostro ruolo».
Ma, nel rispetto dell’amicizia, Mitterand non rimane insensibile all’appello degli
assassini.
L’Operazione Turquoise
Il 22 giugno, la Francia riuscì a ottenere un mandato, in base al capitolo VII del
Consiglio di sicurezza, per una missine «strettamente umanitaria […] che sarà
condotta in modo imparziale e neutrale». Ricordiamo che l’UNIMAR non aveva
alcun titolo per utilizzare la forza. Il termine “genocidio” non appariva nei testi
della risoluzione redatti dalla Francia. Il testo era sufficientemente ambiguo per
camuffare i veri fini dell’operazione. Le popolazioni in pericolo che l’operazione
doveva proteggere includevano gli autori del genocidio cui il FPR dava la
caccia. Il 28 giugno, in piena operazione Turquoise, il genocidio dei Tutsi venne
ufficialmente riconosciuto da René Degni-Ségui, relatore ufficiale della
Commissione per i Diritti Umani dell’ONU. Ma il 1 luglio, il Consiglio di sicurezza
non ritenne che fosse avvenuto un genocidio anzi, pregò il Segretario generale
di «nominare urgentemente una commissione imparziale di esperti». Tale
commissione verrà nominata solamente il 1 agosto e, il 4 ottobre, arriverà alle
stesse conclusioni di René Degni-Sègui. Ma, a questo punto, gli assassini sono
già fuggiti in Zaire.
La zona umanitaria sicura: né disarmo degli assassini, né arresto.
Il 4 luglio, la Francia decise di instaurare una «zona umanitaria sicura» nel sudovest
del Ruanda. Per questo, non richiese alcun mandato del Consiglio di
Sicurezza. La creazione di questa zona fece da sbarramento all’offensiva del
FPR. Ma era anche in contraddizione con la risoluzione 929 che sanciva che
l’operazione «non avrebbe costituito una forza di interposizione tra le due forze
coinvolte». In questa zona, il genocidio continuò. Dietro istruzioni di Parigi, non
ci fu né il disarmo delle forze governative, né dei militari. Inoltre, non verranno
arrestati i presunti colpevoli, poiché «non risulta essere parte dei compiti che ci
sono stati assegnati», disse la Quai d’Orsay. Questo va in completa
contraddizione con il concetto di zona umanitaria delle Nazioni Unite dove, ad
eccezione dei caschi blu, tutti devono essere disarmati.
Rifiuto di arrestare il governo genocidiario.
L’11 giugno, il generale Lafourcade, comandante dell’operazione Turquoise,
dichiarò che i ministri del governo ad interim ruandese sarebbero stati,
all’occorrenza, accolti nella “zona umanitaria sicura”. «I soldati francesi li
accoglieranno come semplici rifugiati», disse, aggiungendo «sarà competenza
di un’inchiesta internazionale determinare chi è responsabile dei massacri
compiuti in Ruanda».l Il Presidente e i ministri si rifugiarono a Cyangugu, nella
zona umanitaria, il 15 luglio. Venne dato l’ordine di non arrestarli.
Vi resteranno fino al 18 luglio, giorno in cui il colonnello Hogard organizzò
l’estradizione in Zaire dei membri del governo. Dal momento che la loro
responsabilità all’interno dei massacri divenne pubblica, i Francesi non
consegnarono alcun criminale ai Caschi blu, come avrebbero dovuto fare in
base all’articolo VI della Convenzione per la prevenzione e la repressione dei
crimini di genocidio.
La Francia ordina ai rappresentanti del Ruanda di ritirarsi dal
Consiglio di Sicurezza.
Fu l’ambasciatore Mérimée che, il 18 luglio, fece uscire i rappresentanti del
governo responsabile del genocidio dal Consiglio di Sicurezza. La Francia aveva
sostenuto il governo fino a quel momento.
Limitare l’intervento del TPIR
L’8 novembre 1994, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la creazione di un
Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda (TPIR), ma non potrà che
condannare i massacri avvenuti durante il 1994. Questo limite impedisce di
esaminare la pianificazione del genocidio. Si deve al rappresentante francese,
Jean-Bernard Mérimée.
4. Conclusioni.
La Francia ha permesso il genocidio dei Tutsi. Ha privato la Convenzione per la
prevenzione e la repressione dei Crimini di genocidio del suo senso. L’ha resa
nient’altro che un foglio di carta. Se il Ruanda è stato autore della propria
storia, nel 1994, la Francia l’ha aiutato a scriverla.
François Mitterand ha sostenuto, il 22 giugno 1994, davanti ai suoi ministri,
davanti ad una sopravvissuta di Auschwitz, che «se questo paese dovesse
vivere sotto il governo dei Tutsi […] si interromperebbe sicuramente il processo
democratico». Lì, ha raggiunto l’apice della perversione. Lui, che non ha
ascoltato altri se non i suoi militari, per coinvolgerci in una guerra razziale, ha
voluto farci credere che la difesa della democrazia, in un altro paese,
imponesse il sostenere gli autori di un genocidio. Il suo machiavellismo è
costato più di un milione di morti.
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